RACCONTAMI QUANDO QUANDO QUANDO...
La vita di chi ha dato tante risposte ai suoi detrattori

by Alessandro Steinhart
mercoledì 25 maggio 2016
Raccontami quando, quando, quando... ad una domanda: la risposta

The Answer


Allen Iverson ha rappresentato per certi versi il prototipo del giocatore venuto dalla strada, con un passato difficile da dimenticare e una personalità forgiata nella sofferenza. Ma per molti altri versi quello che "The Answer" (la risposta, il suo soprannome coniato dal suo stesso clan) ha rappresentato per il basket, per l'NBA, per una larga fetta di afroamericani negli Stati Uniti e per molti ragazzi in tutto il mondo non si era mai visto prima.
Cresciuto da una ragazza madre di nome Ann a Hampton in Virginia, il piccolo Allen ha vissuto ogni genere di dramma: dal padre scappato prima che nascesse, al suo amico e confidente Tony Clarck trovato assassinato, passando per tutti gli uomini che la madre, nel disperato tentativo di trovare una stabilità economica, ha frequentato nel corso degli anni.

Il futuro MVP non ha però sempre amato lo sport che lo renderà famoso in tutto il mondo: da bambino considerava la pallacanestro uno sport da femminucce, preferendo di gran lunga il football in cui poteva sfogare la sua rabbia contro avversari molto più grossi di lui. Amava il contatto fisico, voleva giocare secondo le sue regole sin da subito, mostrando una personalità di una tenacia fuori dal comune. Tuttavia la situazione in casa rimane difficile, i soldi scarseggiavano e Iverson si è trovato nella condizione di dover cercare di sostenere sé stesso e la madre.

Il suo mondo non è mai stato facile, e dopo una rissa in un locale viene condannato a 5 anni di galera.
Per sua fortuna, e nostra, che l'abbiamo visto giocare, il giudice gli ha concesso la grazia dopo 5 mesi, consentendogli di essere dall'università di Georgetown allenata da John Thompson, forse il primo coach che ha dimostrato di credere nelle doti del ragazzo, nonostante il suo passato difficile e la sua fedina penale. Il giovane ricompensa la fiducia con dei numeri impressionante, nonostante un fisico molto più esile dei suoi coetanei.
Durante l'anno da freshman vince il premio di "Rookie of the year" e di difensore dell'anno, con oltre 20 punti, 4 assist e 3 rimbalzi a partita. I suoi numeri migliorano ancora la stagione successiva, e viene inserito nel quintetto All America. Le medie salgono a 25 punti, 4 rimbalzi, 5 assist e 3 palle recuperate.

Il problema parlando di Allen, e sarà cosi per tutta la sua carriera, citando il grande storyteller Federico Buffa, è che "i numeri lo offendono". (Per la verità Buffa dice queste parole a proposito di Michael Jordan, ma chi scrive è propenso a pensare che tale concetto valga anche e forse più per Iverson). Ha vinto 4 volte la classifica come miglior marcatore, 1 titolo di MVP, 2 MVP all'All Star Game, segnerà per 79 volte in regular season più di 40 punti. La sua icona però non si spiega solamente grazie al fenomenale attaccante che è stato nei campi da basket: Iverson è stato un'icona della cultura Hip Hop, ha rappresentato per anni le comunità meno benestanti degli Stati Uniti, non abbandonando mai il proprio clan. Famosa è diventata la sua frase che meglio di altre spiega la personalità del numero 3: "Se mangio io, mangiano tutti".

L'arrivo in NBA è stato subito un successo assoluto. Viene scelto da Philadelphia prendendosi la maglia numero 3 e produce subito numeri incredibili: il primo rookie nella storia a segnare più di 40 punti in 5 partite di fila, chiude la stagione con oltre 20 punti di media, vincendo a mani basse il ROY. La squadra non è subito competitiva, ci vorranno anni perché possa arrivare ai playoff, prima della consacrazione nella stagione 2000/2001. Solo la coppia più dominante dei primi anni 2000, Kobe e Shaq interrompono i sogni di gloria dei 76ers, vincendo le Finals 4-1.

Tuttavia nei cuori di tutti gli appassionati di pallacanestro di tutto il mondo non può non essere rimasta la prima sfida tra i Lakers e Philadelphia. Hanno vinto i Sixers dopo un overtime, grazie ai 48 punti di Iverson. Ma, come detto prima, i numeri lo offendono. Non è con il tabellino che si può spiegare il fascino magnetico con la quale trascina i suoi compagni di squadra a lottare su ogni pallone come se fosse l'ultimo. Lui stesso si lancia con i suoi 183 cm contro qualsiasi avversario, Shaq compreso. Icona di quella partita è il canestro di Iverson su Lue che, dopo esser caduto a terra, viene scavalcato dal numero 3 dei Sixers.

Questo era Allen Iverson: un leone in un corpo di un ghepardo. Il carattere però era altrettanto focoso: famosa è la sua conferenza stampa in cui ha dichiarato che allenarsi non è cosi importante, che lui combatte ogni sera con tutto sé stesso. Probabilmente insieme a Karl Malone (il Postino), John Stockton e Charles Barkley è stato uno dei giocatori più forti della storia NBA a non aver mai vinto un titolo.
Ma non è per questo che ci ricorderemo di Allen Ezail Iverson. Di lui ci rimarranno le incredibili giocate, il crossover su Michael Jordan al primo anno da professionista, il suo inconfondibile stile Hip Hop e una personalità genuina, mai intaccata dalla fama o dai soldi.

Degli ultimi anni non parlerò, perché quello che mi è rimasto in mente è solo che "fino a quando mangerò io, mangeranno tutti", un genio vestito da rapper su un parquet: Allen Iverson.



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